L’abete spagnolo – Abies pinsapo Boiss.

Introduzione

L’attuale diffusione del genere Abies lungo il bacino del Mediterraneo è limitata a pochi centri di vegetazione, non sempre di dimensioni adeguate. Nella Spagna meridionale si trovano piccoli nuclei di abete (Abies pinsapo Boiss.), dispersi nella parte più meridionale del paese. Nell’estate del 2002 sono stati visitati i tre centri principali di diffusione dell’abete spagnolo ubicati nella regione sopracitata. Il presente lavoro è un ulteriore contributo all’indagine conoscitiva sullo stato di conservazione delle abetine mediterranee.

Caratteri dell’ambiente

La regione spagnola dove vegeta ancora l’abete spagnolo è circoscritta alla porzione merdionale dell’Andalusia, più precisamente, nell’area denominata “Serrania de Ronda”. La morfologia di tale regione è caratterizzata da profili morbidi, alternati a valloni dalla pendenza molto elevata (Sierra de Bermeja) ed estesi altopiani situati a 700-1000 m (Ronda). Le montagne più elevate hanno generalmente fianchi poco scoscesi, eccezion fatta per la Sierra Pinar (1654 m), aguzza piramide, nonché per alcuni tratti delle montagne adiacenti. La matrice geologica dominante è carbonatica (Pinar, Sierra de Las Nieves), con calcari marnosi e metamorfici nella parte sud-orientale (peridotiti – S. de Bermeja).

Il clima è schiettamente mediterraneo ma con livello udometrico molto elevato. La posizione geografica della regione, frapposta tra il Mediterraneo e l’Oceano, fa sì che l’effetto Stau sia molto intenso e che i cicloni provenienti dall’Atlantico scarichino buona parte dell’umidità proprio su queste montagne. A Grazalema (Pinar), ad 800 m, la piovosità media annuale è di ben 2.223 mm annui, con punte di 4.373 mm registrate nel 1963. Naturalmente, le precipitazioni a carattere orografico hanno un’influenza locale, ma, poco più a oriente, sulla Sierra Las Nieves, il totale supera sempre i 2.000 mm, anche se questo avviene ad oltre 1.600 metri e non più ad 800 metri. Se i quantitativi sono molto elevati, la distribuzione ricalca quelli che sono i parametri usuali del clima mediterraneo, con precipitazioni che nel trimestre estivo assommano spesso a 0 mm, con la stagione secca che inizia nel mese di maggio e termina in settembre/ottobre. In questi mesi l’approvvigionamento idrico deve essere ricercato nella capacità idrica dei suoli ed, infatti, questo aspetto, come vedremo più avanti, è quello che influisce maggiormente sulla conservazione delle foreste della zona. La nevosità è scarsa. Quando nevica il manto nevoso permane al suolo per pochi giorni e solamente sulla Sierra Las Nieves (1.928 m) si può parlare di innevamento duraturo. Altrove, come sulla Sierra Pinar (Grazalema), lo spessore medio non supera i 20 cm e la neve non dura più di 1-2 giorni. Al contrario, non sono rare le nevicate tardive, come nel corrente anno (2002) durante il quale è nevicato a Grazalema nel mese di maggio. Proprio la scarsità di innevamento ha favorito la creazione di numerose neviere, soprattutto sulla S. Las Nieves dove la naturale morfologia carsica ha favorito tale attività.

Ambiente forestale

Le foreste andaluse sono estremamente ridotte, sia come estensione sia come consistenza. La morfologia del suolo, decisamente favorevole all’agricoltura ed al pascolo ovino, ha provocato estesi disboscamenti nelle pianure e nelle colline, con le digitazioni delle coltivazioni che giungono fino ed oltre 1.000 metri di quota. Al di sopra di tale quota le foreste continuano ad essere un evento piuttosto raro poiché l’allevamento del bestiame, soprattutto ovino e caprino, è patrimonio della cultura locale da tempo immemorabile ed è tuttora praticata con una certa continuità ed intensità. Al contrario di altri Paesi mediterranei, nei quali le condizioni socio-economiche hanno permesso la conservazione di consorzi forestali abbastanza estesi, anche se notevolmente ridotti nella consistenza, fino a meno di un secolo addietro (Turchia, Grecia, Italia), nella Spagna meridionale la foresta è stata annientata in tempi piuttosto remoti, soprattutto sulla montagna calcarea. I pochi lembi che si osservano qua e là sono solamente oasi di pascoli arborati lasciati per fornire alimentazione ai maiali oppure materiale legnoso commercialmente valido (sughero). In questo triste panorama forestale, le uniche formazioni rimaste non assoggettate a queste due forme di utilizzazione, si trovano sempre su pendii rocciosi ed inetti a qualsiasi forma di sfruttamento se non quella dei pascolo caprino. Riguardo il metodo di disboscamento utilizzato, vista la dislocazione dei boschi residui, si è propensi a pensare nell’incendio in montagna e nel dissodamento in collina e pianura, ma è anche probabile che la foresta sia andata regredendo progressivamente a causa del sistematico annientamento della rinnovazione ad opera del pascolo.

Quando si incontrano “boschi”, l’utilizzo di tale termine è decisamente eufemistico visto che si tratta perlopiù di pascoli arborati o sugherete da produzione, oppure di alberi isolati circondati da arbusteti degradati.

Laddove il substrato è di origine metamorfica il paesaggio cambia leggermente. La maggiore disponibilità idrica di questi suoli ha permesso la sopravvivenza di boschetti di querce e pino marittimo (Pinus pinaster Ait.), soprattutto nei pendii più acclivi. Tutti i soprassuoli nei quali compare l’abete non sono assoggettati ad alcuna forma di utilizzazione. Tuttavia, i forestali ed i naturalisti spagnoli hanno effettuato rilievi dendrometrici in tutte le abetine naturali. Fatta questa premessa, passiamo ad analizzare la tipologia dei boschi di questa parte della Spagna. Nella regione alluvionale di pianura la vegetazione forestale che si incontra è generalmente circoscritta alle fasce ripariali che costeggiano i principali fiumi, con pioppi (Populus nigra L.), frassini. (Fraxinus oxycarpa Rich.), ontani (Alnus glutinosa (L.) Gaertner), salici (Salis alba L.). Sulle colline rimangono dispersi boschetti di querce (Quercus faginea Lam., Quercus ilex L. subsp. “ballotti” (Desf.), Quercus suber L.) con scarsi e degradati elementi della macchia mediterranea come il lentisco (Pistacia lentiscus L.), il mirto (Myrtus connnunis L.) ed il raro corbezzolo (Arbutus unedo L.). Le conifere autoctone sono rappresentate da pino marittimo (Pinus pinaster Ait.), ginepro fenicio (Juniperus phoenicea L.), ginepro turifero (Juniperus thurifera L.), ginepro comune (Juniperus communis   L.) e pino d’aleppo (Pinus halepensis Mill.). Il pino marittimo autoctono si trova esclusivamente nella parte metamorfica andalusa, associato antropicamente al castagno (Castanea sativa L.) mentre il pino d’aleppo colonizza una minima parte delle aree calcaree denudate e liberate dalle abetine e dai querceti. In questi ambienti mediterranei degradati si insediano perfettamente numerose specie arbustive emisferiche, che formano spinosissime formazioni, serrate ed impraticabili. Le specie più diffuse sono: Velia spinosa Boiss., Bupleurum spinosum Gouan, Echinospartium boissieri (Spach) Rothm, Erinacea anthyllis Link. Queste sono le specie guida del “Matorral” spagnolo, molto diffuso in tutte le plaghe visitate.

Tutte queste specie sopra elencate si possono trovare indistintamente dal livello del mare fino ad oltre i 1.500 metri di quota, ovvero, dalle coste calcaree fino alle abetine. C’è da dire che la posizione geogra­fica della regione fa sì che la flora loca­le sia la risultante di provenienze medioeuropee ed africane. Un crocevia in cui si mescolano piante di provenien­ze diverse che spesso sovrappongono i propri areali in formazioni curiose, ma anche caoticamente riaggregate dalla mano improvvida dell’uomo. I rimboschimenti sono molto diffusi, anzi, possiamo dire che i boschi artifi­ciali coprono una superficie maggiore di quelli naturali. I primi rimboschimenti risalgono alla fine degli anni ’50 e furono effet­tuati con fondi USA. Le specie mag­giormente impiegate furono il pino domestico (Pinus pinea L.), gli eucalipti   (E. globulus Labill. e E. camaldulensis Dehnh), il pino nero (Pinus nigra Am.), il pino silvestre (Pinus sylvestris L.), il pino marittimo e l’acacia saligna (Acacia saligna Labill.). Gli eucalipti e l’acacia vennero impiegati nelle regioni di bonifica (Cota Donana) mentre tutti i pini trovarono impiego nei rimboschimenti di monta­gna, fino a 1.600 m. Così, non è difficile incontrare pini domestici ad oltre 1.200 metri di quota, in ambienti calcarei, mentre i pini marittimo e silvestre sono stati impiantati spesso nei pressi ed all’interno delle abetine degradate, tal­volta con scarso successo.

Nella parte più settentrionale de l’Andalusia, i boschi sono più frequen­ti, soprattutto nella porzione nordorien­tale (Cazorla). Sono sempre soprassuoli degradati, edificati principalmente dal pino nero che si trova in evidente fase espansiva. In questo apparente caos, l’abete compare intorno ai 700 m, in gruppi o piante isolate, per arrivare fino a 1.800 m circa di quota sulla Torrecilla (Sierra Las Nieves). La sua presenza è maggio­re nella fascia altitudinale compresa tra i 1.200 ed i 1.600 in. L’abete cresce indistintamente su tutti i substrati rocciosi, dal calcare alle metamorfiti (ser­pentine, scisti e peridotiti), senza un’ap­parente preferenza.

Il Pinsapo

Questa specie mediterranea è morfologicamente affine al non lontano Abies marocana Guin. Ed al distante Abies numidica De Lannoy, il primo diffuso su circa 3.000 ha nel Rif marocchino ed il secondo, circoscritto al solo M. Babor (2.004 m), in Algeria. L’abete spagnolo è geneticamente assai affine ai compagni africani ma molto distante dagli altri abeti mediterranei ed anche dallo stesso Abies alba Mill. (Parducci, 2000) La spiegazione è semplice ed è dovuta al fatto che, sia filogeneticamente che geograficamente parlando, il pinsapo è una delle specie più distanti dal ceppo principale (ancestrale) di differenziazione balcanico. Inoltre, la migrazione del genere Abies è avvenuta da est verso ovest, sicché la Spagna e l’Africa sono state le ultime tappe toccate dall’abete durante le sue peregrinazioni avvenute in epoca geologica. Durante le glaciazioni, la Spagna e l’Africa sono state un rifugio di molte specie vegetali, abeti inclusi (Parducci, 2000), mentre gli ultimi scambi genici tra gli abeti africani ed europei risalgono all’ultima crisi del Messiniano (2 mln anni fa). Nello stesso periodo che rappresenta, forse, l’evento geoclimatico più importante del Mediterraneo, si ebbe il passaggio di molte specie animali e vegetali dall’Europa verso l’Africa e viceversa, sicché è abbastanza facile stabilire una cronologia del genere Abies in questa parte dell’Europa. Sempre nel Messiniano, è possibile che ci sia stato anche un contatto tra l’abete algerino e l’Abies che occupava il suolo siciliano; da qui la vicinanza genetica tra l’A. numidica e l’Abies nebrodensis Mattei. Nonostante questo, la variabilità genetica dell’A. pinsapo è molto più bassa di quanto ci si potrebbe attendere e, forse, la causa è proprio dovuta alla limitata estensione delle abetine relitte. La storia recente ci fornirà la spiegazione.

Il pinsapo è una specie bene adattata al bizzarro clima mediterraneo, tollerandone gli estremi termici ed udometrici senza alcuna difficoltà. Definire il suo potenziale di distribuzione è difficile in quanto l’attuale creale e le condizioni ecologiche delle montagne spagnole potrebbero inficiare le migliori previsioni.

L’unico dato certo è che, stante la diffusione attuale, l’abete predilige suoli bruni ma si adatta anche a litosuoli e, stentatamente, a suoli minerali; per rinnovarsi ama posizioni di illuminazione intermedie (carattere tipico del genere Abies), ma cresce anche in pieno sole, a patto che ci siano arbusti emisferici a proteggerlo nei primi anni. L’accrescimento in altezza è rapido dopo i primi 20 anni, con 30-50 cm/anno e culmina intorno agli 80-100. L’accrescimento diametrale è notevole negli esemplari isolati (fino a 1,60 m di diametro), mentre le piante cresciute in bosco sono poco rasi remate e presentano il classico tronco cilindrico con discreta autopotatura. La corteccia è, in età adulta o comunque avanzata, indistinguibile da quella dell’Abies alba Mill., a riprova che molti esemplari coltivati in Italia ed Europa sono ibridi. La cima delle piante vecchie è tabulare ed in alcuni esemplari di Los Reales (Sierra de Bermeja) sono stati notati accenni alla formazione del classico “nido di cicogna”. La longevità non sembra essere molto elevata, non superiore ai 200-250 anni, ma è ovvio che in ambienti degradati come questi tale potenzialità rimanga inespressa. Il portamento del pinsapo è piuttosto variabile. Nelle stazioni migliori la forma è quella classica degli abeti, ma, alle quote superiori (Las Nieves) e nelle stazioni più degradate, si assiste ad un polimorfismo senza precedenti. Non sono rari gli abeti dal portamento ad ombrello. identico al pino domestico, oppure simili in tutto e per tutto, inclusa la corteccia, ai contorti pini loricati (Pinus leucodermis Ant.) del Pollino. Gli abeti più vecchi, cioè quelli che sono cresciuti allo stato isolato per decenni o secoli, sono sempre policormici, con numerosi fusti (fino a 6-7) e raggiungono dimensioni ragguardevoli (5,70 m di circonferenza).

Come giù detto in precedenza, l’abete vegeta nelle province di Cadice e Malaga, nella regione denominata “Serrania de Ronda” ed è distribuito in cinque nuclei:

Sierra del Pinar

Sierra Las Nieves

Sierra de Bermeja

Sierra Real

Sierra Bianca

I tre nuclei principali (Pinar, Las Nieves, Bermeja) sono geneticamente isolati tra loro; la distanza media è supe-riore ai 10 km. Le poche piante che si trovano disperse tra le abetine principali non sono in grado di assicurare un flusso genico tra i diversi popolamenti. E altresì vero che l’isolamento dura da parecchio tempo ed è probabile che si sia verificato un certo differenziamento nei gruppi. Il pinsapo è stato poco usato nei rimboschimenti; si hanno notizie di piant-gioni affermate solamente nella lontana Sierra de Gredos, in ambienti più umidi, dove compare il più esigente faggio (Fagus sylvatica L.). Le poche piantagioni effettuate nelle Sierre andaluse non hanno dato risultati incoraggianti. Tuttavia, una vasta sperimentazione in campo non è stata ancora iniziata e forse ci si è impegnati poco, visto che la via del recupero naturale sembra essere stata proficua e certamente meno onerosa.

Sierra del Pinar

Questa bella montagna si trova nella parte più occidentale della Serrania de Ronda e raggiunge con la sua vetta più elevata, il Torrion, i 1.654 m. La morfologia del monte è piuttosto aspra. Si tratta di una costiera disposta lungo i paralleli, molto ripida su entrambi i fianchi. Il versante meridionale è cespugliato e parzialmente ricoperto da un rimboschimento del 1970, mentre su quello settentrionale si adagia l’abetina “Pinsapar”. La superficie ricoperta dall’abete è di 500 ha ca. Associato all’abete vi sono il leccio, l’acero minore (Acer monspessulanum L.) la quercia faginea e, sporadicamente, il sorbo montano (Sorbus aria Crantz). Nel sottobosco si trovano la peonia (Paeonia coriacea Boiss.), la dafne (Daphne laureola subsp. latifolia (Cosson) Rivas Martinez) l’elleboro puzzolente (Helleborus phoetidus L.) ed, eccezionalmente, una specie nemorale tipica delle faggete europee, la sassifraga (Saxifraga rotundifolia L.), non censita nella flora ufficiale del Parco. L’abete vegeta solamente sul versante settentrionale della lunga costiera, tra i 700 ed i 1.600 m, tuttavia, non ne mancano esemplari anche sugli aridi pendii meridionali, soprattutto nei canaloni, alla base della costiera e nel vasto querceto degradato che ne ammanta le falde. Su questo versante, le piante sono quasi tutte ascrivibili alla fase senile pur non raggiungendo dimensioni elevate. E’ evidente che la presenza dell’abete nel lato solatio è del tutto occasionale, non tanto per la quota e l’esposizione quanto per lo stato di degradazione del suolo. Al contrario, l’abetina “Pinsapar” si presenta florida ed in costante espansione. A tale riguardo, l’attuale fase espansiva è testimoniata dal confronto con vecchie foto risalenti al 1930, pubblicate nell’ottimo lavoro di Barbey (1931), nelle quali l’abetina era visibilmente danneggiata dal pascolo e dalla sgamollatura operata dai “carboneros”, che ricavavano carbone vegetale dai rami dell’abete e dalle latifoglie adiacenti. Numerose piazzole testimoniano questa pratica colturale, oramai non più in uso da parecchi decenni.

Questo bosco non è mai stato gestito secondo norme selvicolturali né attualmente è previsto alcun intervento selvicolturale. Questo non per mancanza di volontà specifica ma per evidenti deficienze strutturali e/o ecologiche. Le difficoltà di rinnovazione dei querceti sono palesi e la maggiore copertura che si osserva attualmente non deve ingannare l’osservatore poiché studiando attentamente questi boschi, balza agli occhi la persistente carenza di novellame e la quasi totale assenza di fasi cronologiche intermedie. Molto spesso, la maggiore copertura non è altro che il risultato dell’allargamento delle chiome non più trattate a capitozza, le quali, possono anche arrivare a saturare lo spazio epigeo, simulando un’aumentata densità. Durante il periodo dei carboneros le riserve venivano rilasciate in numero proporzionale alla densità del bosco. Quindi, a soprassuoli più densi corrispondevano riserve più numerose e l’inverso nel caso opposto. La testimonianza di ciò è visibile nei pendii bassi del Pinsapar, nella zona di contatto tra il querceto e l’abetina, dove è curiosamente visibile un tratto di querceto ancora “intatto” dopo il taglio dei carboneros. Tale stato di cose è proseguito fino a quando, esaurite le riserve, il bosco ha iniziato a regredire verso i livelli inferiori. A questo punto, le immagini del 1930 ci mostrano il bosco sviluppato su due livelli ben distinti. La fascia superiore, cacuminale, occupata da sottili strisce di abete puro, uno spazio centrale (quello prospiciente il sentiero) rado o addirittura vuoto ed una fascia inferiore, occupata da una abetina degradata ed un malandato querceto molto diradato. Non si è parlato di ceduo poiché, mancando del tutto la rinnovazione agamica e non esistendo polloni, questo termine non sembra appropriato al caso in questione. Gli ultimi interventi dei carboneros, dopo un taglio dell’abetina nel 1904, non ebbero come conseguenza l’abbattimento del querceto, ma esclusivamente lo sgamollo degli abeti e la capitozzatura delle querce poiché il bosco doveva assolvere la duplice funzione di produttore di ghianda per i maiali e di legname per il carbone. Inoltre, la scarsa densità non permetteva il prelievo di intere piante.

Per contro, diventa scontato che in passato questi querceti venissero rinnovati “artificialmente” mediante recinzione delle piantine che dovevano sostituire le “riserve” in deperimento. La sola rinnovazione naturale ben sviluppata si evidenzia nei valloni o sulle rupi che, stante un calo di pascolo, vengono meno visitate dagli animali. Come già enunciato sopra, nel 1904 ci fu un taglio di buona parte del bosco, soprattutto nella porzione occidentale, che non arrivò ad intaccare però la fascia sommitale, troppo difficile da raggiungere e popolata da abeti di pessima forma. Invece, sul lato orientale, quello prospiciente il paese di Grazalema, é probabile che un grosso incendio distrusse questo lato del bosco. Forse, questo ebbe origine proprio nelle vicinanze del paese, ma raggiunse la porzione orientale del bosco scendendo dalla cresta del Cristobal (1.564 m) poiché la distribuzione attuale degli abeti da questo lato — poche vecchissime riserve abbarbicate alle bancate rocciose con giovane rinnovazione sottostante — lascia supporre un evento simile. Tale stato di cose si apprezza ancor meglio sulle foto del 1930. Le notizie più antiche riguardanti il bosco Pinsapar risalgono al 1748, anno in cui la Marina Spagnola effettuò un censimento di tutte le specie forestali utili alle industrie navali militari. Dalla lettura di tale inventario emerge che l’abetina Pinsapar, in quella data, versava in condizioni disastrose: erano rimasti solamente 1.195 esemplari di abete; quattro anni prima il numero era di 1.300. In quella data il bosco era interamente di proprietà privata.

Nel 1930 la situazione dell’abetina era già notevolmente migliorata visto che, almeno a giudicare dalle immagini, gli abeti erano decisamente più abbondanti. Il querceto era molto rado poiché ancora utilizzato come fonte di alimentazione dei maiali. Dal 1930, la superficie dell’abetina è pressoché raddoppiata, così come la densità del soprassuolo è decisamente aumentata. Infatti, percorrendo il bosco sul sentiero dei carboneros, che lo attraversa in piano per intero, si apprezza l’ottimo stato vegetativo degli abeti, con abbondante rinnovazione e piante adulte poco rastremate. Le stesse considerazioni valgono per il querceto che, oggigiorno, si presenta ancora molto degradato, ma, in molti casi, la formazione è più serrata ed è anche presente un piano arbustivo di prugnolo (Prunus spinosa L.), avente la funzione di proteggere le piantine forestali dal brucamento delle capre selvatiche (Capra montes). Nel 1945 il bosco venne acquisito dal Demanio Statale ed il pascolo di armenti da allora è interdetto su tutta la superficie demaniale. Dal 1989, l’abetina è inclusa nei confini del Parco Naturale di Grazalema.

La rinnovazione dell’abete avviene sia sotto copertura sia allo scoperto. Sotto copertura di abete gli abetini sono rari e stentati mentre sono più abbondanti nel querceto, che è tutt’ora oggetto di invasione da parte dell’abete. Allo scoperto, la rinnovazione avviene preferibilmente nei cespugli di crespino (Berberis vulgaris L.) e nelle vallette dove si raccoglie maggiore umidità e l’insolazione è meno intensa. Come già enunciato in precedenza, il bosco si può suddividere in due porzioni abbastanza distinte. La parte superiore, ospitata sulle terrazze sommitali del Pinar, oltre la vegetazione arborea compatta, è costituita di esemplari plurisecolari, ancora in compagine serrata. Qui la rinnovazione è scarsa e le piante sono deformate dal vento, mentre gli abeti isolati sono sempre policormici. La porzione inferiore contiene anche abeti vecchi ma la stragrande maggioranza di piante non possiede età superiori ai 60-100 anni. La struttura del bosco è irregolare; prevalgono gruppi coetanei di piante che si alternano, ma non mancano soprassuoli disetanei, risultato di rinnovazione scalare avvenuta in chiarie e margini.

Da notare che alcuni valloni ad oriente del Pinar, ricoperti di vegetazione forestale a prevalenza di latifoglie, ospitano numerosi esemplari adulti di abete, tutti secchi. il fatto è piuttosto strano, poiché le latifoglie sono in ottime condizioni vegetative e così anche gli abeti giovani. Al contrario, tutti gli abeti adulti sono morti. Complessivamente, il bosco è disetaneo a gruppi. Oltre al nucleo principale, l’abete si rinviene anche sui contrafforti settentrionali del Pinar. Generalmente si tratta di esemplari isolati o giovani abetini provenienti da vetusti abetoni che svettano isolati nel matorral. Alcuni nuclei sono di dimensioni discrete ed il numero di piante è superiore anche alle cento unità. I principali si trovano a nord del Pinar e, più precisamente, sui monti: Sierra Zafalgar (1.265 m); Sierra Branquilla (1.301 m); Sierra del Labradillo (1.035 m); Sierra Margarita (1.172 m); Monte Prieto (1.328 m). A sud, qualche pianta isolata vegeta alle falde dell’alpestre Sierra dell’Endrinal (1.561 m). In tutti i casi, gli abeti si trovano quasi esclusivamente sui versanti settentrionali di dette montagne, in ambienti molto degradati, su litosuoli e suoli minerali. In alcuni casi (Margarita e Blanquilla), le piante sono vecchie ed in precario stato vegetativo. La rinnovazione nei pressi dei nuclei è scarsa e danneggiata dal pascolo e dagli incendi (Margarita). Tuttavia, l’espansione dell’abete è comprovata da centinaia di abetini di altezza compresa tra 0,5 e 3 metri, dispersi sui pendii adiacenti il Pinsapar.

Sierra Las Nieves

Il grande massiccio montuoso calcareo di S. Las Nieves si trova ad oriente della città di Ronda, a circa 15 km di distanza dall’abetina di Sierra del Pinar. Il monte è circondato da un altopiano situato a 1.000-1.200 m dal quale emergono le cime principali. La quota max è di 1.919 m, raggiunta dalla “Torrecilla”. A nord della vetta vi è un secondo esteso ed ondulato altopiano carsico, compreso tra i 1.600 ed i 1.800 m, il quale, come già detto in precedenza, è punteggiato di numerose doline già adibite a neviere. I fianchi del monte sono parzialmente ricoperti di bosco, soprattutto nel versante occidentale, dove vi è un vasto ceduo misto di proprietà privata, edificato da quercia faginea, quercia alpestre (Qucrcus alpestris Boiss.), frassino meridionale, acero di Granada (Acer granatense (Boiss.) Font Quer & Rothm.) ed abete. Sugli altri versanti il mantello boscoso è stato totalmente eliminato dalle superfici meno acclivi e più favorevoli all’agricoltura ed alla pastorizia. Le uniche formazioni forestali che si incontrano sono le abetine, tutte insediate sui pendii più acclivi e rocciosi. Tali “boschi” sono spesso ridotti a liste di piante racchiuse nei valloni o nei pendii più aspri. Degna di nota è la presenza di malinconici e secolari abeti, isolati e dispersi nelle aride alture che costituiscono le propaggini della montagna. Tali piante sono già visibili nelle immagini del 1930 e rappresentano, inequivocabilmente, le ultime vestigia di formazioni di abete eliminate nei secoli passati.

Le abetine sono perlopiù pure e, solamente in un caso, si associano al pino d’aleppo (Pinus halepensis. L.), in formazioni rade e con scarsa rinnovazione. A differenza del Pinsapar della Sierra del Pinar (Grazalema), buona parte delle abetine de Las Nieves è vecchia e cadente. L’età media accertata varia tra i 150 ed i 250 anni. Gli abeti raggiungono dimensioni notevoli. Un esemplare arriva a 5,70 m di circonferenza ed alcuni abeti del bosco “Pinar” raggiungono i 25 m di altezza. Osservando il portamento degli abeti appare ben chiaro come molte piante attuali siano cresciute in bosco denso e serrato e che la degradazione ed il diradamento delle abetine siano stati causati da una decadenza per vetustà non supportata da adeguata rinnovazione. Non sembra che le utilizzazioni abbiano inciso nell’attuale struttura del bosco, almeno non in epoca recente. Tale stato di cose lo si evince perfettamente guardando le immagini del 1930, dove si apprezza la degradazione dell’abetina in pieno corso di svolgimento, con assenza totale di rinnovazione in bosco ed intenso brucamento di quella che si affermava all’esterno. Attualmente, la rinnovazione non manca ma spesso non è scalare poiché manca quasi del tutto la fase di perticaia. Le giovani piantine si affermano all’interno delle numerose chiarie o al piede degli abeti più grandi e, fortunatamente, le aree più ricche sono state recintate con filo spinato per evitarne il danneggiamento da parte delle capre selvatiche. All’esterno del bosco la rinnovazione è sempre presente, ma gli abetini, come è consuetudine in molte conifere mediterranee, necessitano di una lunga fase di affrancamento, con la formazione dei classici “manicotti”. Il diradamento del bosco ha anche provocato una massiccia infiltrazione di arbusti tipici del matorral, fatto che denota un progressivo inaridimento del suolo. Spesso, ai margini inferiori delle abetine vegetano con molto vigore la bella lavanda (Lavandula lavata Boiss.) ed il profumato origano (Origanum vulgare L.), preferibilmente nelle rotture di pendio. La struttura dell’abetina è coetanea o disetanea a gruppi su tutta la superficie. L’unica eccezione va fatta per il nucleo di Parauta (privato), dove una gestione migliore ha permesso all’abete di rinnovarsi abbondantemente e di assumere una struttura simile a quella del bosco “Pinsapar”. In questo lembo di bosco privato (recintato) la presenza del querceto ha fatto sì che la pressione esercitata dal pascolo e dalla ricerca di legname abbia potuto essere diluita su di una tipologia più vasta che nelle altre parti della Sierra Las Nieves. Di questo bosco non si hanno fotografie che ne attestino lo stato nei decenni passati, ma ora l’abete è in netto progresso sia areale che numerico. La formazione è adagiata sul versante settentrionale del Cerro Alcojada (1.712 in). L’abetina non raggiunge la vetta del monte ma ne rimane sottoposta per circa 200 metri, anche se, esemplari isolati e gruppetti, riescono a salire più in alto. La struttura del bosco è disetanea a gruppi e la rinnovazione, scalare, è diffusa sia all’interno dell’abetina (chiarie e buche), sia nel querceto, anche a notevole distanza dal nucleo principale. Il querceto è abbastanza denso e possiede un’età stimata di 15-20 anni. Lo stato vegetativo dei polloni e delle matricine varia da pessimo a discreto e molte zone sono state chiuse al pascolo. Il bosco termina in corrispondenza della strada nazionale, dove termina la proprietà del fondo. L’abete è presente in tutto il querceto con piante sparse e con rinnovazione dispersa nel piano dominato cd aduggiata dalle latifoglie.

I forestali spagnoli, tra la fine degli anni ’60 ed i primi ’70, hanno effettuato molti rimboschimenti nelle aree adiacenti le abetine, utilizzando i pini marittimo, domestico, silvestre (poco) e nero, ottenendo discreto successo nelle zone meno acclivi e, soprattutto, negli ex coltivi, che possiedono terreni più fertili e profondi. Tali rimboschimenti hanno avuto l’effetto di rivitalizzare la vegeta-zione naturale, facilitando la nascita di un piano dominato di rovi (Rubus idaeus L., Rubus ulmifolius Schott., Rubus caesius L.), biancospino (Crataegus monogyna subsp. brevispina (G. Kunze) Franco) e prugnolo. In sporadici casi è stato utilizzato anche direttamente l’abete ma con risultati scarsi. Al contrario, all’interno delle pinete si rinvengono, anche se non molto frequentemente, giovani esemplari di abete in ottime condizioni vegetative che si stanno avvantaggiando della maggiore protezione offertagli dalle pioniere. Al di sopra delle abetine, nell’altopiano carsico della Sierra Las Nieves, punteggiato di doline/neviere (donde il nome), si estende una vasta formazione molto rada di quercia alpestre con scarsi abeti, costituita da autentici “mostri”. Si tratta di alberi plurisecolari, ripetutamente capitozzati per ricavarne frascame per il pascolo, che raggiungono dimensioni ragguardevoli; molti esemplari superano il metro di diametro. Le chiome sono sempre poco espanse e di forma globulare, mentre, tra le querce, è in costante espansione il ginepro sabina (Juniperus sabina L.), sempre associato al crespino e fondamentale per la rinnovazione delle specie forestali. Nei macchioni di ginepro si rinnovano ottimamente la quercia e l’abete. Tutti i ginepri che ospitano tali essenze sono stati recintati uno ad uno, mentre altre querce ed abeti sono stati impiantati in altri piccoli “recinti”. La diffusione della quercia in questo ambiente è davvero curiosa poiché appare palese la mano dell’uomo nella determinazione della presenza o meno dell’abete nei “consorzi forestali” di questa montagna. Il querceto si sviluppa su soli 150 metri di estensione altitudinale (1.700-1.850 m), ma ha uno sviluppo planimetrico molto pronunciato. Geograficamente parlando, il querceto sovrasta l’abetina e fascia questa nella parta basale, in apparente contraddizione. In realtà, tutte le formazioni forestali erano miste di latifoglie e conifere, probabilmente a tutte le quote. Per esigenze antropiche, questo piano è stato interamente convertito a pascolo arborato e l’abete ne è stato escluso per ovvie necessità economiche. La messa a nudo del terreno ha provocato un’intensa erosione del suolo, che, come sempre accade nelle zone calcaree, è stato totalmente dilavato verso le doline e le conche in genere, lasciando i pendii in condizioni estremamente degradate.

Sierra de Bermeja

La lunga catena della Bermeja è disposta lungo i meridiani, a sud della S. Las Nieves e raggiunge la quota massima di 1.450 m nella punta più meridionale, denominata “Los Reales”. A differenza degli altri massicci montuosi della zona, questo monte è costituito interamente di rocce metamorfiche (serpentine, scisti e peridoti), che contribuiscono a conferire al monte un aspetto scosceso ma senza pareti rocciose. I contrafforti sono incisi da profonde valli, percorsi da torrenti perenni e ricoperti di vegetazione più mesofila rispetto alle catene adiacenti. L’impermeabilità dei suoli permette una migliore conservazione dell’umidità e la sopravvivenza di una flora meno xerofila. I boschi sono edificati dalla sughera e dal leccio, ai quali si associa il pino marittimo, sia spontaneo sia introdotto dall’uomo. Diffusi, nelle zone più basse e fresche, sono i castagneti da frutto e si notano anche colture di douglasia (Pseudotsuga douglasii Franco) di buon portamento. Al di sopra dei 1.000 metri le latifoglie cessano del tutto, lasciando il posto al pino marittimo ed all’abete. La fascia altitudinale compresa tra i 1.000 ed i 1.300 metri è quasi sempre scoperta, con sola vegetazione arbustiva, pinete artificiali e naturali. Parte di queste è stata incendiata a più riprese e le aree liberate sono in corso di recupero da parte della vegetazione mediterranea. L’abete si trova solamente sotto la vetta più elevata ed i suoi contrafforti. Più precisamente, l’abetina si sviluppa estesamente sul versante occidentale e, secondariamente, sull’anticima occidentale de Los Reales e nei valloni orientali del monte, rimanendo sempre confinato all’interno dei fossi, rifuggendo i crinali e le vette.

La sua presenza attuale è solamente un residuo di una vasta abetina che ricopriva interamente il monte, probabilmente fino a 800-900 metri, mescolandosi, in basso, con le conifere mediterranee e con la lecceta/sughereta. Tale impressione è suffragata dalla perfetta linearità con cui l’abete cede il passo al pino, senza che ci sia un soprassuolo misto di transizione, confermando in tal modo la posteriorità del pino rispetto all’abete. Così come avvenuto nelle altre abetine prese in esame, anche qui la copertura forestale attuale è decisamene superiore a quella di un, più o meno, recente passato. É assai probabile, anzi direi certo, che l’abete sia l’unica formazione residuale climacica rimasta dell’originaria copertura e che il pino sia il naturale successore di questa conifera nei luoghi rimasti liberi dopo la sua eliminazione. Questo fenomeno non è peculiare della Spagna, ma lo si riscontra, identico nelle modalità di esecuzione, in pressoché tutti i Paesi mediterranei.

L’abete vegeta con un popolamento in discrete condizioni vegetative, con esemplari secolari e molte piante adulte di ottimo portamento. In questo bosco sono state osservate bellissime piante cilindriche, alte più di 25 metri con la chioma piramidale stretta. Nei nuclei secondari gli abeti sono quasi sempre vecchi e/o secchi. Curiosamente, le abetine di Los Reales ricordano molto da vicino quelle insulari di Abies alba Mill. della Corsica. Il substrato edafico è lo stesso ed anche la struttura delle pinete e delle abetine è molto simile. Addirittura, il vallone orientale è praticamente identico alle valli che circondano la bellissima abetina di Pietra Piana (Rovelli, 1995). La rinnovazione è abbastanza diffusa, ma la si trova solamente allo scoperto, mancando quasi del tutto sotto copertura colma di abete. Macchie di rinnovazione si osservano all’ombra delle piante adulte e sono sempre in ottima vegetazione. Altri abetini sparsi si notano un po’ dovunque: nel matorral, nelle pinete rade, nei canaloni, ecc. La struttura del bosco è disetanea a gruppi, con sparsi gruppetti di perticaia ben sviluppata, soprattutto nelle zone rocciose, di più difficile accesso al pascolo. Come già enunciato in precedenza, su alcuni abeti del bosco di Los Reales è stata notata la presenza di chiome tabulari, con accenni alla formazione del “nido di cicogna”. Non sono piante vecchie ma esemplari adulti in fase di deperimento, con la chioma trasparente. È la prima volta che questo fenomeno viene rilevato nelle specie mediterranee. Tuttavia, sarebbe opportuno effettuare ulteriori indagini per verificarne la reale diffusione nell’Abies pinsapo.

Oltre a questi tre nuclei principali, esistono altri due piccoli centri di abete, dispersi nei canaloni della Sierra Bianca (1.215 m) e nella Sierra Real (1.331 m). Questi due  massicci montuosi si ergono a sud-est della Sierra de Las Nieves; la S. Real è un po’ la propaggine sudorientale della S. de Las Nieves, mentre la S. Blanca si erge proprio sopra l’abitato di Marbella. In entrambi i casi, l’abete è diffuso in radi popolamenti con piante perlopiù vecchie e scarsa rinnovazione, associato a pino marittimo e macchia mediterranea. L’esposizione è a nord e le pendenze sono sempre piuttosto accentuate, con profondi valloni e canaloni. Purtroppo, non è possibile fornire ulteriori notizie, in quanto questi gruppi sono stati osservati solamente a distanza, per mancanza di tempo utile.

Considerazioni

Le abetine di Abies pinsapo Boiss. sono ancora piuttosto vitali e non rischiano davvero l’estinzione, visto che attraversano anche una fase di moderata espansione. L’attuale distribuzione dell’abete spagnolo non esprime il suo potenziale di diffusione, ma ne rappresenta solamente una minima parte. In un passato remoto le abetine ricoprivano i versanti della maggior parte delle montagne del sud della Spagna, dalla Sierra Nevada al confine con il Portogallo. Di tutte queste formazioni sono rimasti solamente 3.600 ha di abetina. Nel conteggio non sono comprese le formazioni nelle quali l’abete compare solamente per singoli pedali e piante isolate. Come ben si vede si è passati da una superficie superiore probabilmente ai duecentomila ettari a soli 3.600. Che fine hanno fatto i restanti ettari? Sono stati eliminati nel corso dei millenni, mediante incendi e dissodamenti. Non ci è dato sapere quale fosse il metodo principale, ma notiamo che, nella maggior parte dei casi, in luogo delle abetine non è risorto nulla. I casi di sostituzione di abete con altre conifere e/o latifoglie sono rari; il caso Bermeja è uno dei pochi. La Sierra Nevada, la montagna continentale più elevata della Spagna (3.478 m), è rimasta pressoché glabra. Il substrato metamorfico (scisti) non è bastato a conservare il mantello forestale. I pochi boschetti di pino silvestre e quercia sono del tutto insignificanti se rapportati alla superficie forestale potenziale. Lo stesso dicansi per tutti gli altri monti calcarei dell’Andalusia. L’analisi dello stato di conservazione di queste montagne non lascerebbe intendere un passato tanto florido, ma 3-4 mila anni di pascolo ed incendi non possono essere passati senza lasciare traccia. Una testimonianza della diffusione dell’abete nel passato la troviamo nei palazzi delle città di Siviglia, Granada e nei radi paesi. Non è possibile che questi sparuti “boschetti” di abete abbiano potuto fornire tanto materiale. E evidente che, in passato, la distribuzione di questa bella conifera fosse assai più vasta dell’attuale e che le condizioni vegetative fossero migliori (e di molto) di ora. Attualmente, l’incremento delle migliori abetine di I.as Nieves (le più vaste) si attesta ad un misero 3,4 mc/ha annuo e la provvigione media a 204 mc/ha (AFA, 1992). Questi dati vanno presi con la dovuta cautela poiché le condizioni vegetative delle abetine variano molto da bosco a bosco. I migliori soprassuoli sono quelli di Parauta e Grazalema, mentre i peggiori (ma i più pittoreschi) sono quelli di Ronda. Abbiamo anche visto che la struttura delle abetine è quasi sempre disetanea o disetaneiforme. La densità è spesso scarsa ma le migliorate condizioni ecologiche hanno permesso  una chiusura dei soprassuoli molto significativa. Un particolare degno di nota è che le abetine spagnole non presentano il tipico andamento altimetrico delle loro compagne mediterranee. L’abete sembra vegetare ottimamente dagli 800 ai 1.800 m senza che vi sia quella tipica sofferenza dovuta all’altitudine. Quasi certamente, la bassa intensità e frequenza delle nevicate e la forte piovosità annua fanno sì che l’ambiente sia meno ostico rispetto agli stessi ecotoni di altre località mediterranee, come la Grecia ed il sud dell’Italia. Non devono destare stupore i portamenti bizzarri degli abeti delle alte creste della Sierra Las Nieves poiché l’effetto degenerativo della degradazione operata dall’uomo é nettamente prevalente sui fattori abiotici. Osservando attentamente il portamento delle varie abetine spagnole si nota molto bene come le piante deformi siano solamente quelle cresciute isolate o quelle cimate in seguito all’eliminazione delle compagne, indistintamente dalla quota o dalla posizione relativa. Riguardo la composizione dei soprassuoli originari, si può solamente ipotizzare una mescolanza dell’abete con il pino marittimo, il leccio e la sughera nelle montagne metamorfiche, mentre nei massicci calcarei il “pacchetto” doveva essere ben più vasto. Ricordo la presenza di monumentali lecci nel bosco “Pinsapar” (Grazalema), che altro non sono se non vecchissime capitozze rimaste racchiuse nell’abetina dopo il 1930 e qualche leccio ultrasecolare anche nelle abetine più degradate di Pinar (S. Las Nieves). Altre tracce di maggiore mesofilia le scopriamo anche osservando la flora del sottobosco. La sassifraga a foglie rotonde è una presenza veramente eccezionale e si giustifica solamente ipotizzando una flora potenziale ben più mesofita di quella attuale. Stesso discorso per i tassi (Taxus baccata L.) e gli agrifogli (Ilex aquifolium L.) della Sierra Las Nieves, relitti di foreste più ricche e rigogliose. Queste due belle piante sono ridotte a pochi esemplari, cimati e rovinati, ma mancano stranamente nelle montagne più umide di Grazalema. Probabilmente, se andassimo a studiarne la causa, scopriremmo che il loro legno é servito a molte case della zona oppure è stato impiegato in qualche armamento militare del passato. D’altronde, nelle montagne del Mediterraneo centrale (Alpi , Appennini, Corsica) è accaduto esattamente lo stesso. Riguardo a ciò non posso non ricordare l’unico tasso (monumentale) trovato nella foresta di Bonifacio (Corsica). Era stato risparmiato solamente perché serviva a segnalare a distanza la presenza di una grande sorgente. Ironia della sorte, questo segnale è diventato del tutto inservibile perché il pino laricio (Pinus pigra Arnold subs. laricio (Poiret) Maire) sta vigorosamente riappropriandosi del pascolo abbandonato, inglobando anche il fortunato superstite. Grande assente nella Spagna meridionale è la macchia mediterranea, quella normalmente presente in tutta la bassa e media montagna mediterranea, anche nei settori più degradati. Tranne qualche sparuto lentisco, mirto e rosmarino (Rosmarinus officinalis L.), perlopiù diffusi nei boschi antropogeni planiziali, è assai difficile incontrare il corbezzolo (Arbutus unedo L.), i ginepri, comune (Juniperus communis L.) e fenicio (Juniperus phoenicea L.). Tutte queste specie sono poco diffuse e non rispondono alle attese dello studioso che vorrebbe trovarle laddove è solito vederle. Il motivo é che la pressione antropica è andata scemando non in maniera uniforme. Infatti, a fronte di coltivazioni di sughero abbandonate cd invase dall’erica (Erica arborea L.) e dai cisti (Cistus albidus L., Halimium halimimium (L.) Willk.), la ricolonizzazione delle aree abbandonate è ancora ai primi stadi ed il passo per giungere alla macchia così come la conosciamo noi, è ancora lungo. Per ora, nei pressi dei boschi e delle abetine si insedia un pascolo inetto al bestiame, con il cisto giallo e il bupleoro come specie dominanti. Inoltre, lungo la grande via che porta alle formazioni forestali climaciche c’è sempre, purtroppo, l’insidia degli incendi, fenomeno tutto antropico che si ripete con una certa assiduità anche nelle montagne spagnole. Nel corso dei sopralluoghi non sono stati visti incendi recenti, ma le tracce di quelli più vecchi sono ancora bene evidenti. Spesso, gli incendi ripercorrono zone già incendiate e scarsamente cespugliate o del tutto glabre, ma può capitare che l’evento si verifichi in una pineta o in una abetina, allora il danno è decisamente più grave. I forestali spagnoli hanno isolato tutte le  abetine mediante la creazione di piste tagliafuoco che, debbo dire, hanno assolto bene il loro compito. Inoltre, la scarsa appetibilità dei boschi di abete da  parte dei pastori protegge ulteriormente queste delicate formazioni.

Nella foresta “Pinsapar” (Grazalema) si è deciso di controllare l’espansione della capra selvatica e così, ogni anno, vengono abbattuti un certo numero di esemplari. L’apparente crudeltà del gesto non deve fuorviare da uno degli scopi precipui per cui si è istituita la riserva: la conservazione e la diffusione dell’abete. Il fatto è che, dopo l’istituzione della riserva, il numero delle capre è aumentato esponenzialmente a causa della cessata pressione venatoria e della totale assenza di predatori naturali che potessero limitarne il numero. In seguito a ciò, considerando che la superficie foresta le sulla quale insistono le capre è irrisoria, se rapportata a quella potenziale, ci si è visti costretti a limitare per forza di cose il numero delle capre. In pratica, la creazione della riserva stava rischiando di vanificare il progressivo calo demografico del pascolo antropico, riportando il bosco verso i momenti più bui di inizi Novecento. Tuttavia, desidero precisare che non è mia intenzione prendere posizione riguardo tali scelte gestionali, di cui sono responsabili unici gli organi di gestione dei parchi. È altresì vero che esistono altri metodi, meno drastici, per controllare gli ingulati, ma questi sono certamente più costosi ed impegnativi…

L’analisi comparativa delle immagini fotografiche dei boschi di abete è stata davvero molto utile nella determinazione del loro stato dinamico e nell’apprenderne anche i criteri di gestione, quando ce ne sono. In Spagna, ma lo stesso vale anche per le nostre foreste, la pressione sull’ecosistema bosco è stata molto intensa fino alla prima metà del XX secolo. Non è un caso se questo Paese, che è stato il più grande allevatore delle esigenti pecore merinos, si ritrova con boschi ridotti al minimo in tutto il sud. Oltre alle immagini storiche delle abetine, sono state rinvenute altre fotografie risalenti ai primissimi anni del Novecento, ma riguardanti la Sierra Nevada (Morelli e Mari inez, 2000). L’a-bete, su questo importante ed imponente massiccio montuoso, è scomparso da tempo immemorabile, ma il confronto con lo stato attuale è stato molto utile per avere un’ulteriore conferma delle condizioni in cui versavano i boschi in un recente passato. Non c’è neanche bisogno di approfondire la questione, poiché tale analisi comparativa è stata l’ennesima conferma di quello che già è emerso in precedenti studi (Bortolotti, 1968; Rovelli, 2000) e nel corso di questo lavoro. L’attuale scarsa e degradata copertura forestale ad inizio secolo era in condizioni ben peggiori. Le vallate che si diramano dalle vette a settentrione erano scarsamente cespugliate mentre ora una qualche copertura, seppur discontinua, c’è ed è in progressivo ampliamento. Tuttavia, il visitatore potrebbe essere tratto in inganno dalla di diffusa presenza di rimboschimenti, anche annosi, che spesso si confondono con le formazioni naturali; così è sulle Sierre Bermeja e Nevada. L’età di queste formazioni artificiali si aggira oramai intorno ai 50-60 anni di età e la rinnovazione, soprattutto di pino marittimo, è diffusa, scalare e si permea con quella dell’abete, simulando dinamiche strutturali naturali. Oltre a ciò, gli incendi hanno modellato e plasmato le pinete artificiali, rompendo spesso quella regolarità che le rende inconfondibili anche ad un esame superficiale. Se poi aggiungiamo rinnovazione di abete, rada macchia mediterranea che copre il suolo e qualche vecchio pino autoctono rimasto isolato, è quasi assicurato un quadro piuttosto ingarbugliato. La superficie potenziale di diffusione dell’abete, stanti le condizioni attuali dell’ecosistema montano spagnolo, non sembra essere molto vasta. Fino ad ora l’abete è riuscito a ricucire gli strappi che sono avvenuti negli ultimi secoli, ma lo stato di profonda degradazione della montagna spagnola non credo lasci molto spazio ad una sua rapida ed ulteriore riespansione. I tempi naturali sono centinaia, se non migliaia di volte, più lunghi dei tempi umani ma, si sa, l’orizzonte temporale dell’uomo è assai ristretto sicché, il bisogno di vedere i frutti del proprio operato in poco tempo, ci impedisce di avere visioni di più ampio respiro, cioè di pianificare ed intervenire in azioni che possano avere ripercussioni significative nel lungo periodo e non nel medio/breve, ovvero nell’ordine dei decenni. Certo è che la frammentazione della superficie forestale in piccoli ed isolati appezzamenti inficia anche la migliore delle previsioni, ma, se fosse possibile ridurre le superfici agricole riconvertite a pascolo ed operare una vasta campagna di rimboschimenti, mirati al recupero della potenzialità protettiva del disastrato equilibrio idrogeologico mediterraneo, allora, sia l’abete sia le altre martoriate specie forestali autoctone  potrebbero vedere (quasi) spianata la strada all’espansione. Per contro, il successo di un rimboschimento non significa affatto aver creato un nuovo ecosistema forestale in grado di perpetuarsi e riconvertirsi naturalmente verso una cenosi in equilibrio omeostatico, poiché gli ostacoli da superare sono ancora molti; dagli incendi, che stroncano sul nascere le migliori previsioni, alla difficoltà di rinnovare le specie introdotte oppure, come nel caso spagnolo, la scarsa presenza di alberi autoctoni che possano convenientemente sostituire le pioniere. Infatti, come abbiamo visto nel corso di questo lavoro, molti rimboschimenti sono stati realizzati nel pieno matorral e, quando il più vicino bosco naturale dista oltre 10 km in linea d’aria, è assai difficile sperare in una sostituzione spontanea delle conifere introdotte, con specie autoctone che propendano per un assetto più climatico. à questo il caso della Sierra Las Nieves, dove sotto alle conifere piantate dall’uomo ci sono solamente arbusti, anch’essi pionieri.

Diverso caso è l’Italia, dove c’è sempre qualche bosco naturale di latifoglie che fornisce i semi per la rinnovazione dei tanto vituperati rimboschimenti di conifere. Purtroppo, nel sud della Spagna il caso è del tutto diverso. Gli scarsi e lontani boschi naturali non sono in grado di fornire il materiale biologico per la sostituzione delle conifere, sicché sarà d’obbligo, ovviamente tra qualche decennio, effettuare sonopiantagioni nei rimboschimenti e questo rappresenta un costo che molti Paesi non sono in grado di affrontare. Comunque sia, la speranza principale è riposta nell’avifauna e nella sua grande capacità di trasportare i semi forestali anche a grandi distanze. Come è sempre stato e sarà, la Natura è certamente più affidabile e costruttiva dell’uomo.

RIASSUNTO

In questo lavoro, l’autore descrive una specie mediterranea di Abies che vegeta solamente nel sud della Spagna. La sua attuale scarsa diffusione, circoscritta a soli cinque nuclei, è dovuta ad una serie di causa sinergiche, tutte comunque riconducibili al fattore antropico. Dopo millenni di regresso, ora l’abete spagnolo si trova in una fase di espansione e recupero del vigore vegetativo dei popolamenti, testimoniato da abbondante rinnovazione nelle aree adiacenti i nuclei, invasione dei boschi di latifoglie e ottimo vigore vegetativo delle piante giovani. Le abetine non sono assogettate a nessuna forma di sfruttamento selvicolturale e sono tutte incluse entro i confini di Parchi Naturali. Tuttavia, come già riscontrato in altri boschi mediterranei, le condizioni attuali di degradazione degli ecotoni idonei ad una ulteriore espansione delle abetine rappresentano un grave fattore limitante per la sopravvivenza della specie e delle foreste in genere.

SUMMARY

In this work the author describes the Abies Pinsapo Boiss., a Mediterranean species of the Abies found exclusively in the south of Spain. The fact that its present distribution is sparse and is composed of a  fiew plants, is due to a series of synergetic circumstances, all associated with anthropic factors. After millennia of regression, the Spanish fir is now experiencing a phase of expansion and recovery of the vegetative strength of its populations, borne out by an abundant renewal of the areas adjacent to the nuclei, an invasion of broadleaf woods and the excellent growth of the young plants. The young firs undergo no selvicultural exploitation whatsoever and ali flourish within the bounds of Natural Parks. However, as already witnessed in other Mediterranean woods, the present degradation of the ecological conditions necessary for further expansion of the firs, represents a serious threat to the survival of the species and to forests in general.

BIBLIOGRAFIA

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